La nostalgia e il desiderio pungente del giorno dopo

di Gina Bruno
 
Quando si pensa all’inizio di maggio si pensa alla freschezza e invece l’estate ci è piombata all’improvviso addosso. Forse non eravamo del tutto preparati ma una cosa l’abbiamo capita negli anni, non c’è mai un tempo perfetto, c’è solo quello che puoi fare con quello che hai per le mani. Con il caldo che sembrava agosto, sabato e domenica scorsa abbiamo accolto il professor Mauro Bubbico ed un gruppo di suoi studenti e studentesse, Omar Tonella – Diparttimento Architettura e Design di Genova, Chiara Di Luca, Marina Reitano, Valeria Biasin. Elio Ferrario, Paolo Gentili Isia dell’Università di Urbino, Chiara Ricciardi dell’Università di Faenza. Due giorni di workshop dedicati a pensare per immagini a cos’è questo luogo per chi lo costruisce ogni giorno.
 
Il primo giorno lo abbiamo dedicato ai bambini e le bambine di Ci Vuole Un Fiore , siamo partiti come sempre dal cerchio rituale per poi correre su e giù per il giardino alla ricerca di piante e fiori a cui ispirarci. Da qui siamo partiti, dalla natura intorno, dai fiori che abbiamo coltivato insieme negli anni, dalle nostre radici comuni condotti da questi giovani creativi a lasciare il reale per immaginare una natura nuova, creata da noi, piante e animali che popolano questo spazio anche se non esistono nel mondo reale ma solo in quello che costruiamo insieme quando ci incontriamo. Ed è qui che accade il miracolo, perché è nelle relazioni che si costruiscono nuovi mondi, dove anche se parliamo lingue diverse possiamo lo stesso comprenderci grazie al disegno o grazie al gioco. I bambini hanno prodotto immagini bellissime, alcuni come Simone hanno disegnato senza sosta, altri si sono concentrati su un solo fiore da riprodurre nei minimi dettagli. Non è importante, la cosa importante è essersi poi ritrovati dopo, ancora in cerchio a raccontare al gruppo il nostro bestiario e la nostra giungla selvaggia. Disegno dopo disegno si è delineato davanti ai nostri occhi un mondo nuovo.
 
Il secondo giorno abbiamo lavorato con i volontari e le volontarie di Nuovo Armenia, la nostra art director Cecilia Di Gaddo aveva preparato minuziose cartelle piene di immagini e storie dei nostri quartieri, siamo partiti da lontano per guardare quanto il nostro territorio sia portatore di esperienze, lavoro industriale e creativo, associazionismo, pensiero, azione e cultura. Basta guardarsi intorno per capire che ci collochiamo in continuità con il fermento che da sempre caratterizza i luoghi che abitiamo. Ragionare per immagini non è semplice per i non addetti ai lavori, come si fa a pensare a cos’è Nuovo Armenia con un disegno? Per questo a tanti è venuto più semplice partire dalle parole. Cos’è questo luogo? Una nuova casa che stiamo costruendo insieme, un posto in cui rinsaldare relazioni e a partire da queste agire un cambiamento. Si ma cambiare cosa? Cosa succede in questa città veloce? Ci siamo detti che non ci piace la perenne narrazione vincente che non lascia spazio alla fragilità, alla fatica. E allora il pensiero è andato a quante volte in questi anni ci siamo sentiti sul punto di romperci, tantissime volte i nostri corpi, come questo luogo, hanno tremato. Per la paura, per la difficoltà di gestire un processo di riqualificazione complesso, per la fragilità di farlo senza soldi, per la costruzione continua di strategie per andare avanti e soprattutto perché da soli sapevamo che non ci saremmo mai riusciti. Abbiamo sempre saputo che avevamo bisogno del quartiere, di amicizia e visione collettiva e su questo abbiamo investito. Cosa siamo dunque? Forse la definizione che più ci rappresenta e che meglio descrive il processo di Nuovo Armenia ce l’ha fornita Omar quando ci ha detto che il nostro racconto gli faceva pensare ad un sistema antifragile, ovvero un sistema che sa mutare, adattarsi e migliorare grazie ad eventi traumatici., che sa abbracciare l’imprevisto, l’incertezza e prova ad assumere positivamente il rischio.
 
Dopo il fine settimana intensivo passato insieme mi sono sentita grata, commossa e piena di nostalgia, quel sentimento pungente che arriva prepotentemente il giorno dopo, quando finisce un incontro che in qualche modo ti ha cambiato e capisci che hai imparato cose nuove. Non è un caso che mi sia venuto in mente Lucio Dalla, ho sentito la necessità di ascoltare la sua musica e sono riaffiorati alcuni versi di uno dei miei pezzi preferiti, Anna e Marco:
 
“Con un’aria da commedia americana Sta finendo anche questa settimana
Ma l’America è lontana Dall’altra parte della luna Che li guarda e anche se ride A vederla mette quasi paura”
 
E anche la nostra America è lontana, costruirla mette paura, ma siamo qui e poco a poco la stiamo vedendo materializzarsi. Insieme l’abbiamo perfino disegnata.
 
Workshop realizzato il 14 e 15 maggio grazie al sostegno di Fondazione di Comunità Milano Onlus, Fondazione Peppino Vismara, Bando 57 all’interno del progetto Costruire Nuovo Armenia